lunedì 18 agosto 2008

L'Uomo del Treno

Ammetto che il cinema francese, sopratutto quello degli ultimi 15 anni, esercita sempre uno strano fascino su di me.

Laddove il cinema americano è sovrascritto, sovrarecitato, sovraeffettato, e quello italiano è fatto di storie piccole e rarefatte un po' troppo pesanti nella costruzione, se non addirittura pretestuose, il cinema francese mostra storie minimaliste e misurate, che lasciano sempre un senso di sospensione indefinito, sul quale spesso si torna a riflettere tempo dopo la prima visione.


Forse è proprio questo aspetto da microcosmo totalmente autonomo che sviluppa in me quella strana fascinazione di cui parlavo in apertura.


Prendiamo ad esempio " L'uomo del Treno " di Patrice Leconte, uscito nel 2002 ma che solo ora ho avuto modo di vedere.


Due uomini profondamente diversi tra loro si incontrano casualmente in una città di provincia; entrambi hanno un appuntamento con il destino il sabato sucessivo al loro incontro, e nei tre giorni che condivideranno sotto lo stesso tetto in una pesante casa barocca decaduta, si scopriranno essere uno lo specchio dell'altro.


Molte altre volte abbiamo visto nel cinema l'incrocio di destini, ma qui il tutto viene giocato nelle lunghe pause e negli scarni dialoghi, scanditi dal passare del tempo vividamente percettibile di quei tre giorni prima che il fato bussi alle rispettive porte dei protagonisti.


Se fosse un film americano, sarebbe un diluvio di parole, rumori e paradossi spazio-temporali; se fosse un film italiano sarebbe farsesco, dialettale e grottesco.


Qui è un universo parallelo che si sviluppa all'interno della mente e dello spirito dei protagonisti, in cui ogni rumore, ogni gesto, ogni parola ha un suo significato ben preciso.


E proprio per questo motivo, questo tipo di cinema ha un'attrazione davvero particolare su di me.


Andre.!

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